Gli alimenti crudi di solito contengono sostanze chimiche che, se consumate in modo eccessivo, possono causare problemi di salute. Le tossine naturali più frequenti nella frutta e nella verdura sono lectine, glicoalcaloidi, ossalati, glicosidi cianogenici e inibitori della tripsina (South et al., 2011).
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Le lectine sono proteine molto comuni in natura e soprattutto in molte piante che sono ampiamente consumate dagli esseri umani (Lawley et al., 2012). Le leguminose rappresentano la fonte più comune di lectine (Deshpande, 2002). Esempi di tali vegetali sono: fagioli rossi, fagioli di Lima, fave, semi di ricino, semi di soia, lenticchie, piselli, favini, arachidi, patate e cereali (South et al., 2011).
Molte lectine vengono inattivate dal trattamento termico, ma in alcuni casi possono essere presenti nel cibo lavorato come creali secchi, arachidi e fagioli secchi tostati (Lawley et al., 2012). Le istruzioni di preparazione dei fagioli rossi indicano che, dopo averli lasciati in ammollo una notte, l’acqua dev’essere scartata e i fagioli bolliti per almeno 10 minuti finché non diventano morbidi, altrimenti possono causare disturbi di stomaco (South et al., 2011).
Il sintomi di intossicazione da lectine comprendono disturbi gastrointestinali come nausea e diarrea (Deshpande, 2002). Tali disturbi iniziano 1-3 ore dopo il consumo e di solito si risolvono completamente nel giro di 3-4 ore (Lawley et al., 2012).
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I glicoalcaloidi sono prodotti in modo naturale dalle piante come difesa da animali, insetti e funghi (Lawley et al., 2012). Queste tossine agiscono da pesticidi e fungicidi naturali; sono presenti nelle patate e nelle melanzane. In particolare, le patate contengono due glicoalcaloidi, la solanina e la caconina. Quest’ultima è molto più tossica (South et al., 2011). In generale, i livelli di glicoalcaloidi nelle melanzane sono bassi e quindi non rappresentno un problema (Lawley et al., 2012).
Il livello di glicoalcaloidi nelle patate è elevato soprattutto nella buccia e nei germogli (South et al., 2011). Per questo motivo, sbucciare i 2 mm esterni delle patate può rimuovere fino al 95% delle tossine (Lawley et al., 2012). I glicoalcaloidi non possono essere eliminati con le normali tecniche di cottura come bollitura, cottura al forno, frittura o essiccazione a temperature elevate (Deshpande, 2002). La cottura a temperature superiori ai 170°C come la frittura profonda può abbassarne i livelli (Lawley et al., 2012).
I sintomi dell’intossicazione da glicoalcaloidi comprendono debolezza, nausea, dolori addominali, vomito e diarrea, ma nei casi più gravi sono presenti confusione, febbre, allucinazioni, paralisi, convulsioni e, in alcuni casi, la morte (D’Mello, 2003; South et al., 2011). I sintomi si manifestano entro le prime 8-12 ore e di solito si risolvono nel giro di 1-2 ore (Lawley et al., 2012). Generalmente si accetta il lmite di 200 mg di glicoalcaloidi per 1 kg di patate fresche, ma al momento non esiste una legislazione ufficiale in merito (South et al., 2011). Rimuovere le parti verdi e le macchie scure prima di cuocerle a fondo è necessario per ridurre la quantità di glicoalcaloidi (D’Mello, 2003).
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Gli ossalati, o acido ossalico, sono presenti negli alimenti di origine vegetale, ma le quantità più elevate si trovano nelle verdure a foglia verde come spinaci (0,3-1,2%), foglie di rabarbaro (0,2-1,3%), portulaca (0,9-1,7%), foglie di barbabietola (0,3-0,9%), tè (0,3-2,0%) e cacao (0,5-0,9%) (Lawley et al., 2012). Altri alimenti vegetali che contengono quantità inferiori di ossalati sono lattuga, sedano, cavoli, cavolfiori, rape, carote, patate, piselli e fagioli (Lawley et al., 2012).
L’intossicazione da ossalati è rara negli esseri umani, ma se ciò dovesse accadere, i suoi sintomi sono gastroenterite, shock, convulsioni, ipocalcemia e danno renale (Lawley et al., 2012). Gli ossalati dannosi presenti nel cibo possono essere eliminati tramite l’ammollo in acqua (Lawley et al., 2012). Tuttavia, se si consumano grosse quantità di cibi ricchi di ossalati, si consiglia anche il consumo di alimenti ricchi di calcio (Lawley et al., 2012).
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I glicosidi cianogenici sono presenti in diversi alimenti vegetali consumati dagli esseri umani. Quando il tessuto vegetale viene triturato tramite la lavorazione o la masticazione, l’idrolisi dei glicosidi cianogenici porta alla formazione di acido cianidrico (South et al., 2011). Il cianuro ingerito viene assorbito dal tratto gastrointestinale, passa attraverso la pelle e poi l’acido cianidrico viene assorbito dai polmoni causando problemi respiratori e persino effetti letali (Deshpande, 2002).
Il composto cianogenico più famoso è l’amigdalina, presente nelle mandorle amare (South et al., 2011). Le mandorle amare contengono 1450 mg di cianuro per chilogrammo (Lawley et al., 2012). Un altro alimento ricco di cianuro e ampiamente consumato è la manioca. La manioca contiene 15-400 mg di cianuro per chilogrammo di alimento fresco (Tu, 1992). Glicosidi cianogenici simili sono presenti in semi di lino, germogli di bambù, prugne, albicocche, igname e patata dolce (D’Mello, 2003). Per ridurre il livello di cianuro negli alimenti si consiglia di lavarli sotto l’acqua corrente o di lasciarli in ammollo e bollirli in recipienti non coperti, così da far evaporare il cianuro (South et al., 2011).
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Si tratta di agenti chimici che inibiscono l’attività della tripsina, un enzima fondamentale nella digestione delle proteine (South et al., 2011). È presente in un’ampia gamma di alimenti, ma le fonti più importanti sono i legumi da granella come i fagioli di Lima e la soia (Caballero et al., 2003). Le molecole inibitrici sono attivate dal calore, perciò la cottura è un passaggio fondamentale per aumentare il valore nutrizionale degli alimenti che contengono tali inibitori (South et al., 2011).
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