Nella loro vita, i vegetali e gli animali accumulano varie sostanze chimiche dall’ambiente circostante. Se tali sostanze chimiche si accumulano a livelli elevati, possono rappresentare un pericolo per le persone che consumano questi alimenti. Queste sostanze chimiche comprendono micotossine e tossine dei molluschi che sono considerate “contaminanti naturali”, così come diossina, idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti, nitrati e fluoro, tutti considerati “contaminanti ambientali”.
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Le micotossine sono composti tossici prodotti naturalmente da alcune specie di muffe, di solito sottoposte a condizioni di stress (Mostrom, 2016). Le muffe che producono micotossine possono crescere su numerosi prodotti alimentari umani e animali come cereali, frutta essiccata, frutta a guscio e spezie, ma possono colpire anche sedano, succhi d’uva, mele e altri prodotti. Le micotossine si presentano nella catena alimentare come risultato dell’infezione da muffe delle colture prima o dopo la raccolta, durante la conservazione, sopra/all’interno degli alimenti stessi in determinate condizioni di temperatura, umidità e condensa. La maggior parte delle micotossine è chimicamente stabile e sopravvive al processo di lavorazione degli alimenti (USDA, 2013).
Nella seguente tabella sono riportate le micotossine più comuni negli alimenti e i relativi dettagli.
Fonte: Modulo “Micotoxine” di questo corso.
I molluschi come cozze, vongole, capesante e gamberetti si nutrono di fitoplancton marino (D’Mello, 2003). Il fitoplancton è composto da alghe marine microscopiche conosciute come microalghe, che contengono clorofilla e hanno bisogno della luce solare per vivere e crescere (National Oceanic and Atmospheric Administration, 2021). Alcuni tipi specifici di microalghe possono crescere esclusivamente in acqua e producono compostitossici che si trasferiscono ai molluschi e poi agli esseri umani (Washington State Department of Health, n.d.). I molluschi, quindi, si comportano da vettori dell’avvelenamento da molluschi, che si manifesta sotto forma di: intossicazione da molluschi paralizzanti (PSP), avvelenamento amnesico da molluschi (ASP), sindrome diarroica da molluschi bivalvi (DSP), avvelenamento neurotossico da molluschi (NSP) e ciguatera (CFP) (South et al., 2011). Nella seguente tabella sono riportate maggiori informazioni su queste sindromi.
I molluschi contenenti tossine non hanno un aspetto o un sapore diversi da quelli privi di tossine. Inoltre, le tecniche di cottura uccidono l’alga che produce le tossine, ma non distruggono le tossine stesse. Non esiste un antidoto per l’avvelenamento da molluschi. Nei casi gravi, l’unica terapia possibile prevede l’uso della ventilazione meccanica e dell’ossigeno finché la tossina non viene espulsa dal corpo umano e avviene la completa guarigione (Washington State Department of Health, n.d.-b).
Fonte: D’Mello, 2003; Friedman et al., 2008; Washington State Department of Health, n.d.-a; Washington State Department of Health, 2018a; Washington State Department of Health, 2018b; Watkins et al., 2008
Le diossine e i PCB sono inquinanti organici persistenti che si accumulano nell’ambiente e si trovano nell’acqua, nel suolo, nel tessuto animale e vegetale. Sono presenti in tutto il mondo (Codex Alimentarius, 2018). Le diossine non sono sostanze prodotte volontariamente, ma derivano da alcuni processi di lavorazione e combustione (es. incenerimento dei rifiuti). I PCB sono sostanze chimiche prodotte volontariamente e usate per decenni. A partire dal 1985 è vietato utilizzarli e commercializzarli (Malisch & Kotz, 2014).
A causa della loro ampia diffusione nell’ambiente, queste sostanze chimiche sono presenti praticamente in tutti gli alimenti, che costituiscono la principale via d’esposizione per gli esseri umani (South et al., 2011). La fonte principale è rappresentata dagli alimenti di origine animale più ricchi di grassi come il pesce grasso, la carne e i prodotti caseari (Malisch & Kotz, 2014). Per ridurre le diossine e i PCB negli alimenti è necessario eliminare il grasso e smaltire i liquidi ottenuti durante la cottura in padella, a vapore o tramite ebollizione (Codex Alimentarius, 2018). Sebbene la rimozione del grasso contribuisca notevolmente alla riduzione di diossine e PCB, tali pratiche riducono anche i nutrienti solubili nei grassi e altri composti benefici (come gli acidi omega-3). Durante la preparazione degli alimenti è perciò essenziale condiserare attentamente i rischi e i benefici (Codex Alimentarius, 2018).
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Gli idrocarburi policiclici aromatici sono composti organici naturalmente presenti nell’ambiente, che si formano in seguito alla combustione incompleta di petrolio, carbone e altri materiali organici (South et al., 2011). L’esposizione a questi composti può avere effetti genotossici (dannosi per il DNA) e cancerogeni sugli esseri umani (South et al., 2011). La contaminazione da IPA negli alimenti può avvenire tramite l’esposizione ambientale diretta (aria, acqua, suolo), la migrazione dai materiali di confezionamento o, infine, tramite i processi di lavorazione alimentare come riscaldamento, essiccazione, affumicatura, cottura alla griglia o al forno (South et al., 2011; Birch & Bonwick, 2019).
I livelli di IPA negli alimenti di origine animale tendono a essere bassi, ma alcuni alimenti come carni affumicate e pesci o crostacei allevati in acque contaminate da petrolio risultano essere più a rischio (South et al., 2011). Altri alimenti a rischio sono quelli ricchi di grassi e oli, compresi burro d’arachidi, erbe aromatiche e spezie essiccate, chip di banana, alimenti a base di cereali, preparati per lattanti e integratori alimentari (Birch & Bonwick, 2019).
La formazione di IIPA negli alimenti dipende dal metodo e dal tempo di cottura, nonché dal tipo di marinatura (Birch & Bonwick, 2019). Per esempio, tempi di cottura prolungati in oli vegetali o l’uso ripetuto dello stesso olio provocano elevate concentrazioni di IPA. Per questi motivi bisogna sempre evitare di riutilizzare lo stesso olio per la cottura (Birch & Bonwick, 2019).
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I metalli pesanti sono sostanze naturali che provengono dalla crosta terrestre e che sono presenti in tutto il mondo (Lawley et al., 2012). Sono altamente tossici, anche in quantità molto basse, e sono considerati dannosi sia per gli animali sia per gli esseri umani (South et al., 2011). I metalli pesanti più pericolosi per la catena alimentare sono mercurio, cadmio, arsenico e piombo (Lawley et al., 2012). Le principali fonti di inquinamento sono l’attività industriale, l’estrazione mineraria, la combustione di combustibili fossili e prodotti agrochimici che rilasciano metalli pesanti nel suolo agricolo e nei corpi idrici (Kumar et al., 2019). Le piante assorbono i metalli pesanti dai suoli contaminati e li accumulano nei loro tessuti (Deshpande, 2002). Il consumo di alimenti di origine vegetale contaminati può quindi avere gravi effetti per la salute di animali ed esseri umani (Kumar et al., 2019). Una volta incorporati negli alimenti, i metalli pesanti vi si accumulano e non possono essere rimossi.
Secondo Lawley et al. (2012), il mercurio è presente soprattutto in pesce e crostacei, ma sono fonti di mercurio anche la frutta secca, i funghi e gli ortaggi. Il tonno e il pesce spada di solito contengono di mercurio più elevati rispetto agli altri pesci; il loro consumo deve perciò essere ridotto. L’ingestione di elevate quantità di mercurio provoca danni al cervello, reazioni allergiche ed effetti dannosi sulla riproduzione. Il cadmio si trova spesso nei cereali, nella frutta e negli ortaggi, ma può essere presente anche in carne, pesce, crostacei, molluschi e cefalopodi. L’ingestione di elevate quantità di cadmio provoca diarrea, dolori allo stomaco, danni al sistema immuniario, danni renali ed eventuale infertilità. L’arsenico è presente soprattutto nel pesce e in altri prodotti ittici. Il livello di arsenico nei pesci d’acqua dolce è 10 volte inferiore rispetto a quello del pesce di mare. L’ingestione di elevate quantità di arsenico provoca patologie dermatologiche, polmonari e cardiache, problemi gastrointestinali e l’insorgere di tumori. Il piombo è presente in alte concentrazioni nel vino, nella cacciagione e nel pesce. L’ingestione di elevate quantità di piombo provoca l’aumento della pressione sanguigna, danni renali e una riduzione della fertilità.
Diversi Paesi hanno stabilito dei livelli massimi per i metalli pesanti, perciò è importante essere a conoscenza dei limiti legislativi che si applicano all’esportazione di prodotti alimentari (South et al., 2011).
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I nitrati hanno effetti dannosi soprattutto sull’ambiente e l’acqua, più che sugli alimenti (South et al., 2011). Sono presenti in quasi tutto ciò che mangiamo e beviamo e sono generalmente non tossici alle concentrazioni registrate negli alimenti e nell’acqua (Deshpande, 2002). Con il contributo dei batteri presenti negli alimenti, nella saliva e nel tratto gastrointestinale, il nitrato viene trasformato in nitrito, che è invece tossico. I nitriti vengono di solito aggiunti direttamente agli alimenti, soprattutto durante la stagionatura di carne e pesce (Deshpande, 2002).
I livelli di nitrati nelle colture non sono generalmente considerati pericolosi per la sicurezza alimentare, ma possono comunque avere alcuni effetti negativi sulla salute. Le verdure a foglia verde di solito contengono livelli di nitrati più elevati rispetti agli altri alimenti. L’Unione europea (UE) e il Codex Alimentarius hanno stabilito i livelli per i nitrati negli spinaci e nella lattuga fresca (South et al., 2011).
Secondo il Minnesota Department of Health (2018), elevati livelli di nitrato possono causare la metaemoglobinemia, una patologia potenzialmente fatale. Un soggetto che soffre di metaemoglobinemia può riscontrare un’elevata frequenza cardiaca a riposo, avvertire debolezza e nausea e, nei casi più gravi, morire. Gli adulti possono sviluppare la metaemoglobinemia a causa di livelli elevati di nitrati nell’acqua potabile, ma la fascia di popolazione più a rischio è rappresentata dai bambini di età inferiore ai sei mesi a causa dell’alto contenuto di nitrati che può essere presente nelle acque utilizzate per preparare il latte artificiale.
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Il fluoro è presente in tutto il mondo e di solito lo assumiamo in piccole quantità (Kanduti et al., 2016). Può trovarsi in carne, pesce e cereali, mentre è presente in concentrazioni più elevate in acciughe in scatola, frutta in scatola, prodotti a base di carne di pollo macinata, latte al cioccolato e integratori alimentari per bambini (Kanduti et al., 2016).
Oltre a questi alimenti, il fluoro può essere presente anche nell’acqua potabile, dato che in alcuni Paesi esistono programmi preventivi di fluorizzazione dell’acqua potabile per prevenire le carie (Kanduti et al., 2016). In Europa, solo l’Irlanda e alcune regioni di Regno Unito e Spagna attualmente arricchiscono l’acqua potabile con il fluoro (Direzione generale per la Salute e i consumatori, 2010). Altri Paesi, per esempio Germania, Francia e Svizzera, hanno programmi preventivi di fluorizzazione del latte e del sale (Kanduti et al., 2016). Il fluoro può essere presente anche nei materiali utilizzati nella preparazione degli alimenti, come le pentole in teflon (Kanduti et al., 2016)
Gli studi dimostrano che il fluoro può costituire un pericolo per la salute umana e provocare cancro, problemi alla salute delle ossa e alterazione endocrina (South et al., 2011). Il continuo accumulo di fluoro nel corpo umano può portare alla calcificazione delle articolazioni e persino alla morte (Deshpande, 2002). La tossicità acuta si verifica in seguito all’assunzione di elevate quantità di fluoro per un breve periodo di tempo. I sintomi di intossicazione da fluoro comprendono nausea, dolori addominali, vomito sanguinolento e diarrea. Altri possibili effetti comprendono debolezza, eccessiva salivazione, disturbi polmonari, paralisi muscolare da insufficienza cardiaca e spasmi delle estremità (Deshpande, 2002).
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